GLI EFFETTI DEL BURNOUT E COME CONTRASTARLI ATTRAVERSO LA MINDFULNESS
L’ultimo sondaggio Gallup riferisce che negli Stati uniti un dipendente su quattro è in burnout.
I numeri non cambiano per quanto riguarda l’Europa. Sintomatico è il caso della Francia in cui il problema sta diventando un caso sociale: più di 3 milioni di lavoratori afferma di sentirsi in burnout.
In Italia le categorie più colpite sono medici, insegnanti e dipendenti di grandi multinazionali.
Attraverso questo articolo ti illustrerò il mio punto di vista su come ognuno di noi può iniziare ad intervenire se non si sente supportato dalla propria realtà lavorativa.
In questi ultimi anni l’attenzione è stata concentrata sui sintomi, cioè sugli effetti del burnout e questo, se da una parte ha contribuito a portare a galla il problema, dall’altra ha creato una certa confusione, soprattutto perché i rischi psicosociali sono multifattoriali ed è difficile definire con precisione i sintomi dovuti allo stress sul lavoro dagli stessi sintomi più legati a una sfera personale.
Il burnout porta con sé una sorta di esaurimento psicofisico i cui sintomi possono diventare anche invalidanti come spossatezza, insonnia, tachicardia, perdita di concentrazione, poca memoria, nausea con importanti ricadute anche a livello psicologico e comportamentale.
Chi è in burnout, infatti, può vivere in uno stato di completa apatia come in uno stato di perenne nervosismo mettendo a dura prova sia le relazioni professionali che quelle personali e affettive.
In questo scenario così complesso è intervenuto l’OMS a fare chiarezza dichiarando che il burnout è una sindrome, non una malattia mettendo nero su bianco nell’undicesima revisione dell’ International Classification of Desease che è “un fenomeno occupazionale (stress da lavoro). Non è classificato come una condizione medica”.
Se, da una parte questo ci consola, dall’altra rimane il fatto che questa sindrome si sta allargando a macchia d’olio e i suoi effetti sono allarmanti.
Il mercato del lavoro è diventato sempre più competitivo e la sua complessità è direttamente proporzionale al sovraccarico a cui si è sottoposti in termini di scadenze serrate, organizzazione del lavoro, scarsa flessibilità (soprattutto per quanto riguarda gli orari), prospettive di crescita nebulose, conflitti di ruolo, retribuzione spesso inadeguata a cui si aggiungono poca condivisione dei valori aziendali, mancanza di sostegno e fiducia e clima demotivante.
La decima Indagine europea sui rischi nuovi ed emergenti (ESENER) che si occupa di esaminare i rischi e la salute negli ambienti di lavoro in Europa, riporta che “il 79 % dei dirigenti europei è preoccupato per il livello di stress osservato nei rispettivi luoghi di lavoro. Nonostante ciò, meno del 30 % delle Organizzazioni in Europa dispone di procedure per la gestione dello stress.”
In questi anni insieme al Team, di Psicologi, Counselor e Coach di SBC-Group ho lavorato a stretto contatto con molte Organizzazioni e ho toccato con mano questo disagio, quotidianamente, rendendomi conto di come sia difficile per i dirigenti gestire i rischi psicosociali rispetto a quelli tradizionali.
Da una parte c’è la convinzione (sbagliata) che siano trascurabili o facilmente bypassabili, dall’altra c’è la consapevolezza della portata del fenomeno e dei costi che potrebbe generare il non occuparsene ma, spesso, non si hanno gli strumenti per intervenire in modo adeguato.
Se si abbassa il livello della qualità della vita, di conseguenza calano le performance e il benessere delle Aziende dipende dal benessere delle persone.
Se aumentano assenteismo, malattia e turnover del personale, di conseguenza diminuisce la produttività: è un’equazione matematica!
D’altronde dall’analisi dell’ESENER emerge chiaramente che attuare una politica di prevenzione dei rischi psicosociali sarebbe economicamente conveniente per le Organizzazioni, tuttavia la mia sensazione è che non sia una questione di sottostima del fenomeno, l’attenzione al problema c’è, ma manca una strategia forte per affrontarlo in modo massivo e pervasivo.
Credo fortemente che prendersi cura delle persone che lavorano in un’Organizzazione equivalga a prendersi cura dell’Organizzazione stessa, sembra uno slogan ma mai come in questo momento storico risulta così vero.
Qualcosa si sta muovendo, soprattutto negli ultimi anni.
In Lombardia dal 2012 è stata messa in campo un’iniziativa di finanziamenti alle imprese attraverso bandi che promuovono il Welfare Aziendale e, più recentemente, è partito il programma “Workplace Health Promotion”, un percorso triennale in cui le Aziende aderenti si impegnano a incentivare il benessere dei dipendenti sul posto di lavoro.
Non dimentichiamo il caso Luxottica con il suo piano di avvicendamento intergenerazionale per favorire l’ingresso dei giovani e la Banca Ore Etica per la cessione di ore tra colleghi.
E poi Diesel con il suo quartier generale eco, mensa slow food, asilo aziendale e servizi di ogni tipo per i dipendenti.
Iniziano le prime esperienze di mindfulness in Azienda, come per esempio in Borsa Italiana. Tuttavia, purtroppo, rimangono ancora casi troppo isolati.
NELL’ATTESA CHE TUTTE LE ORGANIZZAZIONI ADOTTINO UNA POLITICA SERIA DI WELFARE AZIENDALE E UN PIANO DI PREVENZIONE DEI RISCHI PSICOSOCIALI, COSA PUÒ FARE IL SINGOLO INDIVIDUO PER NON RISCHIARE IL BURNOUT?
La mindfulness è una risposta seria ed efficace.
I benefici più immediati riportati dalle persone che si sono avvicinate alla mindfulness sono:
- una migliore qualità del sonno
- l’essere riusciti a ritagliarsi uno spazio di benessere psicofisico
- una nuova consapevolezza nata da un maggiore ascolto di se stessi.
Se vuoi approfondire ognuno di questi tre aspetti leggi il mio articolo: “ECCO QUALI SONO I BENEFICI PIÙ IMMEDIATI DELLA MINDFULNESS”